domenica 30 dicembre 2012
venerdì 12 ottobre 2012
Palumbo a Lucca Games? Ebbene sì!
Giovedì 1 novembre alle ore 15,30 presso l’Antico Caffè delle Mura sarà presentato il card game “La sfida delle 12 Porte · Palazzo Magnani”.
Lo scenario della Sfida delle 12 Porte·Palazzo Magnani prende spunto da un evento reale, un misterioso incontro avvenuto sotto le Due Torri quasi un secolo prima:
(...) Nel giugno 1491 Andrea Magnani, personaggio di spicco in città, incontra due celebri umanisti inviati da Lorenzo il Magnifico in cerca di antichi manoscritti greci.
Sono il Poliziano e Giovanni Pico della Mirandola, appassionato di cabala.
Entrambi moriranno misteriosamente avvelenati da lì a poco.
E i manoscritti dove sono?
Trovare all’interno di Palazzo Magnani le monete e recarsi dal mercante che possiede i documenti segreti sarà lo scopo del gioco.
I giocatori sono chiamati a sfidarsi prima fuori dal Palazzo, tra strade e canali cittadini, successivamente tra le diverse stanze dell’edificio progettato da Domenico Tibaldi.
Sullo sfondo, la Bologna tardocinquecentesca dei Carracci, di Michelangelo, dei Bentivoglio e di Lorenzo Magnani, con l’incubo di una razzia, della peste o di una carestia pronte a sconvolgere tutti i piani di gioco.
Per la prima volta, uno dei più importanti gruppi bancari europei utilizza come strumento di comunicazione e divulgazione della sua nobile sede ( Palazzo Magnani) un gioco di carte; il palazzo infatti, recentemente restaurato, è la sede di Unicredit.
E Palumbo? Venite a Lucca e lo saprete.
Lo scenario della Sfida delle 12 Porte·Palazzo Magnani prende spunto da un evento reale, un misterioso incontro avvenuto sotto le Due Torri quasi un secolo prima:
(...) Nel giugno 1491 Andrea Magnani, personaggio di spicco in città, incontra due celebri umanisti inviati da Lorenzo il Magnifico in cerca di antichi manoscritti greci.
Sono il Poliziano e Giovanni Pico della Mirandola, appassionato di cabala.
Entrambi moriranno misteriosamente avvelenati da lì a poco.
E i manoscritti dove sono?
Trovare all’interno di Palazzo Magnani le monete e recarsi dal mercante che possiede i documenti segreti sarà lo scopo del gioco.
I giocatori sono chiamati a sfidarsi prima fuori dal Palazzo, tra strade e canali cittadini, successivamente tra le diverse stanze dell’edificio progettato da Domenico Tibaldi.
Sullo sfondo, la Bologna tardocinquecentesca dei Carracci, di Michelangelo, dei Bentivoglio e di Lorenzo Magnani, con l’incubo di una razzia, della peste o di una carestia pronte a sconvolgere tutti i piani di gioco.
Per la prima volta, uno dei più importanti gruppi bancari europei utilizza come strumento di comunicazione e divulgazione della sua nobile sede ( Palazzo Magnani) un gioco di carte; il palazzo infatti, recentemente restaurato, è la sede di Unicredit.
E Palumbo? Venite a Lucca e lo saprete.
venerdì 21 settembre 2012
dell'Elmo e della Rivolta - addenda estive
PROLOGO: Da qualche anno, ho una ossessione: guardo e riguardo in successione, anche casuale, "La dolce vita" e "8 e 1/2" di Federico Fellini. Li sento due film profondamente vicini al mio tempo; il primo è del 1960, il secondo del 1963, io nasco nel 1964. Sono film che raccontano l'Italia, le sue altezze e le sue bassezze, le sue ansie e il suo provincialismo invincibile... Sono film che si possono vedere come in una scatola cinese: l'uno contiene l'altro. C'è una coppia di scene che soprattutto mi lega a quei film, quelle in cui il protagonista incontra il padre. Ne "La dolce vita"Mastroianni incontra il padre in Via Veneto, quasi per combinazione e poi lo porta a divertirsi in un tabarin un po' fuori moda... In "8 e 1/2", Mastroianni lo vede in sogno, in una cappella funebre e lo accompagna a scendere nella fossa, con dolcezza straziante. Il padre è lo stesso attore in entrambi i film: Annibale Ninchi.
Adesso, che ho provato nella carne cosa vuol dire quella scena di "8 e 1/2" e ho accompagnato mio padre tra le ombre, trovo in Annibale Ninchi i tratti di mio padre e penso a quanto mi sia stata di compagnia e conforto quella scena prima e dopo la mia tragedia famigliare.
ESTATE: Avevo riscoperto la scorsa estate, mentre la tragedia era in corso, questa bella collana della Cappelli, "Dal soggetto al film", curata da Renzo Renzi. Avevo cominciato a leggere il volume dedicato a "8 e 1/2", scritto da Camilla Cederna. Quest'estate l'ho terminato e ho letto quello dedicato a "La dolce vita" scritto da Tullio Kezich. Due instant book, si direbbe oggi, scritti mentre i film ancora erano in lavorazione, stavano per entrare in sala... E scopro anzi mi si rivela un nuovo suggestivo legame con quei film. Annibale (un nome, un destino anche qua) Ninchi dice a Kezich:
"Ho avuto la disgrazia di cominciare (e di finire, potrei dire, perché ho fatto solo un'altra apparizione, per far piacere a Salvini, in "Adriana Lecouvreur") con "Scipione l'Africano". Fu un'esperienza penosa, che mi lasciò un trauma psichico. Quando il film apparve sugli schermi non volevo nemmeno uscire di casa". Perciò l'attore considerò chiusa la partita con il cinema finché non lo chiamarono per il provino con Fellini... Quell'attore/padre era apparso in due film feticcio per me, e, prima di quelli, nel film di Carmine Gallone che avevo disegnato la scorsa estate in "L'elmo e la rivolta", mentre perdevo mio padre. Sempre nello stesso libro, a proposito di Gallone, ecco cosa riporta Kezich:
"Un abbraccio al leone (23 aprile). - Mentre la macchina sta uscendo da Cinecittà, Fellini grida: "Ferma, ferma", e si precipita fuori ad abbracciare un personaggio vestito come il manifesto di Aristide Bruant disegnato da Lautrec. È Carmine Gallone, che sta per cominciare "Cartagine in Fiamme". I due parlano animatamente, abbracciandosi di continuo, dandosi delle manate sulle spalle. Fellini torna in macchina tutto allegro e dice: "Mi fa sempre piacere abbracciare il vecchio leone. Il fatto è che mi tratta, dall'alto dei suoi cento film, come se fossi un esordiente. Ma che dico? Uno che deve cominciare domani. Quando vedo questo colosso del cinema italiano mi sento come un bambino. Mi ha detto: "Comincio "Cartagine in fiamme". Vieni a trovarmi. Farò delle cose che a te piaceranno molto...".
Se penso che una delle ultime copertine che ho disegnato è stata proprio per un libro, "Il peplum di Emilio", scritto dal mio sodale de "L'elmo e la rivolta", Luciano Curreri, ed è dedicata proprio a "Cartagine in fiamme", viene da pensare...
EPILOGO: De "L'elmo e la rivolta"c'è stata una bella presentazione agostana a Bitonto, complice la libreria Hamelin e il Comune: bella e tanta gente. E poi un paio di nuove recensioni, de Il Corriere del Ticino e de Il Cittadino, che ringrazio (anche a nome del Curreri) e aggiungo...
Adesso, che ho provato nella carne cosa vuol dire quella scena di "8 e 1/2" e ho accompagnato mio padre tra le ombre, trovo in Annibale Ninchi i tratti di mio padre e penso a quanto mi sia stata di compagnia e conforto quella scena prima e dopo la mia tragedia famigliare.
ESTATE: Avevo riscoperto la scorsa estate, mentre la tragedia era in corso, questa bella collana della Cappelli, "Dal soggetto al film", curata da Renzo Renzi. Avevo cominciato a leggere il volume dedicato a "8 e 1/2", scritto da Camilla Cederna. Quest'estate l'ho terminato e ho letto quello dedicato a "La dolce vita" scritto da Tullio Kezich. Due instant book, si direbbe oggi, scritti mentre i film ancora erano in lavorazione, stavano per entrare in sala... E scopro anzi mi si rivela un nuovo suggestivo legame con quei film. Annibale (un nome, un destino anche qua) Ninchi dice a Kezich:
"Ho avuto la disgrazia di cominciare (e di finire, potrei dire, perché ho fatto solo un'altra apparizione, per far piacere a Salvini, in "Adriana Lecouvreur") con "Scipione l'Africano". Fu un'esperienza penosa, che mi lasciò un trauma psichico. Quando il film apparve sugli schermi non volevo nemmeno uscire di casa". Perciò l'attore considerò chiusa la partita con il cinema finché non lo chiamarono per il provino con Fellini... Quell'attore/padre era apparso in due film feticcio per me, e, prima di quelli, nel film di Carmine Gallone che avevo disegnato la scorsa estate in "L'elmo e la rivolta", mentre perdevo mio padre. Sempre nello stesso libro, a proposito di Gallone, ecco cosa riporta Kezich:
"Un abbraccio al leone (23 aprile). - Mentre la macchina sta uscendo da Cinecittà, Fellini grida: "Ferma, ferma", e si precipita fuori ad abbracciare un personaggio vestito come il manifesto di Aristide Bruant disegnato da Lautrec. È Carmine Gallone, che sta per cominciare "Cartagine in Fiamme". I due parlano animatamente, abbracciandosi di continuo, dandosi delle manate sulle spalle. Fellini torna in macchina tutto allegro e dice: "Mi fa sempre piacere abbracciare il vecchio leone. Il fatto è che mi tratta, dall'alto dei suoi cento film, come se fossi un esordiente. Ma che dico? Uno che deve cominciare domani. Quando vedo questo colosso del cinema italiano mi sento come un bambino. Mi ha detto: "Comincio "Cartagine in fiamme". Vieni a trovarmi. Farò delle cose che a te piaceranno molto...".
Se penso che una delle ultime copertine che ho disegnato è stata proprio per un libro, "Il peplum di Emilio", scritto dal mio sodale de "L'elmo e la rivolta", Luciano Curreri, ed è dedicata proprio a "Cartagine in fiamme", viene da pensare...
EPILOGO: De "L'elmo e la rivolta"c'è stata una bella presentazione agostana a Bitonto, complice la libreria Hamelin e il Comune: bella e tanta gente. E poi un paio di nuove recensioni, de Il Corriere del Ticino e de Il Cittadino, che ringrazio (anche a nome del Curreri) e aggiungo...
sabato 21 luglio 2012
Zivago e Palumbo su Radio Rai 1
Oggi su RadioRai1, nel corso del programma "In Europa" si parlerà di Zivago e di fumetti. Tra le 9'30 e le 10 del mattino.
mercoledì 6 giugno 2012
Potenza, RedHouse, BIF e L'elmo e la rivolta secondo Antonio D'Andria
Il 7, 8 e 9 giugno si conclude il primo anno di attività della Red House Lab di Potenza, scuola di fumetto e non solo in Potenza, Basilicata. Si conclude con una festa, una serie di performance, tra cui quella di Action30 il 9, e con una cerimonia degli avvii: si getteranno le basi di una Biennale del Fumetto a Matera. Waiting for BIF è il nome della situazione.
Intanto per restare in tema elmorivoltoso, vi propongo una breve relazione di Antonio D'Andria dell'Università di Basilicata, che presentò il "nostro" graphic essai a Potenza, quest'inverno. A corredo uno schizzo da una delle tappe dello spring tour e un articolo a suo tempo uscito sulla Gazzetta del Mezzogiorno.
Ci vediamo a Potenza.
A margine de L’elmo e la rivolta: alle origini dei surplus mitici novecenteschi
L’elmo e la rivolta pone in evidenza, in modo icastico e facilmente raggiungibile, il fatto che il simbolo è, da sempre, segno prediletto delle strategie di comunicazione di un messaggio, dall’Egitto faraonico alla moderna pubblicità. Fu, però, nella temperie degli eventi rivoluzionari e risorgimentali che esso prese piede come presentazione visiva ed immediata di principi e ideologie.
L’uso del simbolo fu spesso complicato dalle implicazioni culturali ed ideologiche delle due parti in conflitto e dal recupero di strategie di comunicazione legate alla cultura rivoluzionaria e/o popolare. Se, quindi, la comunicazione scritta ebbe vasto ed articolato dispiegamento di generi e modi retorici e linguistici, nondimeno anche l’uso iconico del simbolo e dell’allegoria fu altrettanto articolato, sia in forma scritta che in forma visuale: dunque, si ha una prima forma, più legata alla visualizzazione, quindi all’impatto con il popolo; una seconda, molto meno incidente, ma destinata ad una fortuna “postuma” ben più grande, legata alla comunicazione scritta. In tal senso, allegoria e simbolo vanno distinti: l’una, come strumento maggiormente legato alla comunicazione immediata di concetti e programmi; l’altro, più legato alla cultura ed alla produzione scritta, ma assai meno incisivo e vincente. Dal 1799 al 1860 si nota, in Italia ed in Europa, il rincorrersi, a livello giornalistico, pamphlettistico e di stampe popolari, di messaggi-simbolo d’indirizzo politico, nell’intento di tenere insieme diritto-dovere di resistenza repubblicana, fortemente alimentato, con il richiamo all’antico, da un rinnovato e rinvigorito senso religioso della patria.
Il lungo Ottocento liberale vide anche un uso particolarissimo delle allegorie, vere “bandiere” del sentire e dell’agire repubblicano, in cui l’antico si univa al simbolismo politico per coniare immagini della Repubblica molto particolari.
Il terreno sul quale l’uso dei simboli si fece più massiccio è, però, dato dalla comunicazione verso il popolo e dall’uso, come si è detto, di simboli eroici e/o devozionali, vera esemplificazione del fatto che, come rileva Hans Biedermann, «ogni uomo possiede una propria mitologia ed eleva al rango di simboli determinate persone, reali o mitiche».
Si nota, infatti, una netta contrapposizione tra due ideali eroici: quello rivoluzionario, laico e “alto”, ispirato al modello classico, contro l’ideale controrivoluzionario, “basso” e legato alla devozione popolare. Importanti erano i richiami a quegli eroi pagani appartenuti al passato classico, inteso quale luogo delle grandi gesta e delle grandi personalità ricontestualizzate e attualizzate simbolicamente,per poi costituire ‘’modelli’ di emulazione.
L’eroe, come ha sottolineato Luigi Mascilli Migliorini, è “chi è in grado di sentire il «bisogno di credere»”. Vale a dire che in questo periodo, accanto al tradizionale eroe classico, vengono poste in risalto dalla pubblicistica e dalla propaganda figure nelle quali individuare certamente personaggi d’eccezione, ma che sono tali poiché la loro eccezionalità è posta al servizio di una causa. Si tratta, ovviamente, di un simbolo civile, concreto, che risulta armonizzare l’individualismo, il sociale e la storia: eroi, ma al tempo stesso uomini. È, ovviamente, poiché di simbolo concreto stiamo parlando, di un’armonia contrastata e mai compiuta, perché, come evidenziava già Leopardi: «Un uomo grande non è mai perfetto. L’eroismo e la perfezione sono cose contraddittorie. Ogni eroe è imperfetto. Tali erano gli eroi antichi […], tale era l’idea che essi avevano del carattere eroico».
Antonio D’Andria
martedì 5 giugno 2012
L'elmo e la rivolta - Lucania minitour 2012
Senza preavviso, il "nostro" metafumetto dedicato a Spartaco e Scipione, torna nei luoghi dove Spartaco diede l'ultimo colpo di spada contro i Romani, in due occasioni. La prima al Malatesta, osteria anarchica, nell'ambito di una iniziativa condotta da Adele Caputo "LA LIBERTA' DELL'ARTE-SPAZIO DI REALE AUTONOMIA PER CRESCERE." Per un bel reportage si veda il blog di Andrea Semplici, che da par suo scrisse e fotografò, a seguito di una bella serata davanti a polpette e vino rosso. La seconda è stata a Balloon, festa del fumetto e della letteratura per ragazzi, a Policoro, dove, davanti a numeroso e partecipe pubblico, si è ampiamente discusso di corvi pasoliniani e di spartachi e scipioni...
venerdì 25 maggio 2012
L'elmo e la rivolta secondo Riccardo Donati - Firenze Spring Tour 2012
A seguito dell'incontro a Le Murate di Firenze, Riccardo Donati, che gli autori sentitamente ringraziano, ci propone altri spunti di riflessione (le immagini sono state realizzate invece durante l'incontro di Castelfranco Emilia, condotto da Luca Cesari e con un bell'intervento dell'assessore alla cultura, Carlo Alberto Bertelli):
Oltre la divulgazione di quello che è. L'elmo e la
rivolta
In un articolo
del 1969 – lo stesso anno in cui Mondadori accettava la scommessa non facile, e
forse oggi impensabile, di dare alle stampe il Poema a fumetti firmato
Dino Buzzati – Cesare Zavattini scriveva che
[...] i fumetti non vanno bloccati in una definizione
e in un costume che diventano repressivi ma colti, fruiti, in quello che di
moderno propongono, intendendo per moderni la costante del mutamento e il
mutamento quale coincidenza con le più massicce richieste sociali, che sono
sempre all'avanguardia. Sarebbe inutile e infido limitare la dinamica del
fumetto alla divulgazione di quello che c'è. Chi si assumesse il compito
di affrontare coi fumetti Dante o Hegel o lo strutturalismo o la rivoluzione
francese dovrebbe preferirli in quanto gli sono insufficienti i linguaggi
tradizionali. Dovrebbe cioè essere una scelta, un'invenzione e una traduzione
in un codice diverso della medesima sostanza. Operazioni impacifiche,
caratterizzate da una carica riflessiva, analitica per la quale all'esposizione
cosiddetta orizzontale, sia della Divina Commedia o delle Lettere dal
carcere viene di continuo sostituita l'interruzione, il commento, la
verifica tra ogni affermazione assoluta e la vita corrente, il confronto
inesorabile tra passato e presente, tra individuo e comunità.
Se la
ricostruzione di un dato frangente storico attraverso la forma del graphic
novel è già stata tentata da tempo e con notevole successo (basti pensare
al Maus di Spiegelman, e all'interesse che l'opera ha suscitato in uno
storico di primo piano come Hayden White), la novità rappresentata da L'elmo
e la rivolta consiste nel presentarsi come primo graphic essay della
storia del fumetto (perlomeno di quello italico: altra cosa sono, in effetti,
opere come la pur meritoria Storia
d'Italia a fumetti di Enzo Biagi, pregevole e intelligente testo di
divulgazione privo tuttavia di spessore analitico). Assumendo il non
facile compito di dar forma al frammentato pulviscolo di suggestioni, credenze
e miti sorti intorno alle figure di Scipione e Spartaco nel corso dell'Otto e
Novecento, Luciano Curreri e Giuseppe Palumbo optano dunque per il linguaggio
dei fumetti, spinti a questo passo da ragioni non dissimili rispetto a quelle
enunciate da Zavattini nell'articolo sopra citato (dove appunto viene
prefigurato, più che il graphic novel, l'avvento di un graphic essay
del tipo di cui stiamo discutendo). L'esigenza che li anima è infatti quella di
superare i limiti dei linguaggi tradizionali, i quali, marcati stretti da
secolari convenzioni e costrizioni, anche formali, difficilmente permettono di
dribblare – le
metafore calcistiche sono giustificate dal testo – quella che Zavattini chiama l'"esposizione orizzontale"
della materia trattata. La forza di questo connubio risiede allora nella scelta
di integrare due tipologie di scrittura solitamente distanti, per non dire
antipodiche (quella saggistica; quella grafica), al fine di innestare la
"medesima sostanza" (l'analisi storiografica, sociologica,
mitografica, culturologica ecc.) sul tronco di una nuova forma espressiva,
operando un felice connubio tra sterminata erudizione (sia pure un'erudizione
divertita, che non sa e non vuole prendersi troppo sul serio) e attenzione ai
dati più immediati dell'immaginario contemporaneo. Che studiare la storia
significhi giungere a un «confronto
inesorabile tra passato e presente, tra individuo e comunità», lo insegna in modo magistrale, per non
citare che un esempio celebre, Luciano Canfora quando nei suoi libri mette a
confronto la democrazia ateniese con quella statunitense. Ma questo
confronto sarà tanto più produttivo ed efficace (ossia in grado di far spazio,
sulla pagina, a quel bisogno di “sovrabbondanza umana” che è il ribaltamento
esatto del concetto di surplus capitalistico, come insegna il Bloch di Il
principio speranza) quanto più saprà intercettare le possibilità
espressive offerte da codici largamente condivisi ("popolari", si
sarebbe detto un tempo). Per riprendere, adeguandola all'occasione, una formula
proposta da uno dei pochi (ahinoi) padri nobili del nostro fumetto, Oreste Del
Buono, L'elmo e la rivolta rappresenta un riuscito esperimento di «figurazione saggistica» proprio nella misura in cui il continuo
scambio e gioco di rilanci tra testo e immagine, fino al dosato armonizzarsi
delle due dimensioni (a formare un unicum scandito, ritmato,
"sequenziale", per dirla con Will Eisner), garantisce all'opera una
duplice profondità, euristica ed artistica. Una duplice profondità cui,
innegabilmente, la forma-saggio e la forma-fumetto singolarmente considerate
non sarebbero in grado di attingere. Ciò che Zavattini intuisce, in definitiva,
non è poi così distante da quanto già Benjamin aveva ampiamente compreso,
ovvero che nella modernità la forma-saggio non può più andar disgiunta dalle
altre forme produttrici di senso e di immaginario della contemporaneità.
L'invenzione del graphic essay rappresenta in questo senso una non
trascurabile opportunità, per il pensiero e la conoscenza, di restare vitali, andando
oltre i battuti sentieri della mera catena verbo-concettuale
("oltre", si badi, non "contro", perché superare un codice
significa essersene già nutriti, averlo già assimilato: proprio come fanno
Ninetto e Totò in Uccellacci e uccellini... e qui Spartaco e Scipione,
col Corvo della conoscenza). L'elmo e la rivolta, "operazione
impacifica" (di guerra e di morti si parla, infatti), forse anche
imperfetta (nella misura in cui rappresenta il primo prodotto uscito da
un'officina che promette ulteriori sviluppi), oltre al merito dell'originalità,
ci sembra dunque avere anche il pregio di soddisfare una richiesta di sapere (e
una sete di paradigmi identificativo-identitari) che forse non sarà
"massiccia" quanto Zavattini nel dopo Sessantotto poteva figurarsi,
ma che sicuramente è meno minoritaria di quanto una vulgata troppo
suggestionata dal preponderante credo edonistico-qualunquista vorrebbe farci
credere.
domenica 20 maggio 2012
L'elmo e la rivolta secondo Anna Dolfi - Firenze Spring Tour 2012
A seguito dell'incontro a Le Murate di Firenze, ecco uno scritto illuminante di Anna Dolfi, che gli autori sentitamente ringraziano:
Caro Giuseppe, mi chiedevi di annotarti la citazione da Pasolini.
Lo faccio volentieri, ma seguendo per un attimo ancora il filo del mio
discorso. Che mirava a vedere come si può, in un caso come quello del vostro
libro, accostare un’arte per definizione comunicativa come quella del fumetto
(direi più volentieri nel tuo caso del graphic)
con un testo complesso e articolato (un vero e proprio saggio, dal quale si può
imparare tanto anche in termini di conoscenza storica) come quello di Luciano.
Ora mi pare che la trovata del corvo (non solo portatore di un never more alla Poe, latore di un
immaginario inquietante) collegata a Uccellacci
uccellini di Pasolini arrivi a giustificare e a rendere plausibilissimo
(nel senso più complesso del termine) il tutto. Insomma se eccede in
‘sapienza’, erudizione, dottrina, il corvo non fa che il suo mestiere (così
come lo aveva fatto il grillo parlante di un altro autore caro a Luciano:
Collodi), sia in positivo che in negativo. Insomma il corvo da un lato dice
quanto è vero ma che è difficilmente digeribile (anche per colpa del suo tono
saccente), dall’altro si prepara
proprio per questo l’inevitabile fine, aprendo così la strada all’auto-ironia
della contro-voce occultata dietro le sue massime. Soprattutto giustifica il
divario tra i ruoli (il fumetto/il saggio) facendone un altro dei tanti (diacronici)
racconti interni che si intrecciano nella vostra storia.
Se poi l’epilogo sia risolutivo (su modello quasi cristologico, nel
caso di Pasolini come nel vostro, come sembrava suggerire Riccardo Donati
nell’incontro di ieri sera) onestamente non so; visto che con coscienza
antihegeliana preferisco lasciare aperta la contraddizione, prendendo atto che –
in natura, si potrebbe dire, almeno a tutt’oggi - ci sono discorsi
inconciliabili (per intenderci velocemente: quello di Totò, Ninetto da un lato;
quello del corvo dall’altro) e che ognuno non può che recitare una parte (già
che è l’unica che è in grado di assumere), finendo per apparire perfino
incurante dell’inevitabile fine. Insomma, anche se sa che è destinato ad avere
poco ascolto, e che lo faranno probabilmente tacere (“alouette, gentille alouette,
alouette je te plumerai”), l’intellettuale continua a parlare; mentre gli
altri, che lo guardano con diffidenza, continueranno probabilmente ad
alternarsi nei ruoli dei micro-scipione, dei micro-spartaco, ignari talvolta perfino
della portata della loro azione.
Insomma a mio parere il corvo che faceva di Uccellacci e uccellini un film-saggio, è quanto fa, a livello ‘teorico’, del vostro esperimento un graphic essay.
Nel caso di Pasolini poi la consapevolezza dell’autore era
completa, se aveva avuto occasione di parlare di quel suo film così “disarmato,
fragile e delicato” puntando tutto sulla novità della formula (“che è quella della favola col suo senso nascosto”) che
sostanziava anche il “surrealismo delle favole” che gli pareva la natura più
vera del film:
“L'atroce amarezza dell'ideologia sottostante al film
(la fine di un periodo della nostra storia, lo scadimento di un mandato) ha
finito forse col prevalere. Mai ho scelto per tema di un film un soggetto così
difficile: la crisi del marxismo della Resistenza e degli anni Cinquanta,
poeticamente situata prima della morte di Togliatti, subita e vissuta,
dall'interno, da un marxista, che non è tuttavia disposto a credere che il
marxismo sia finito (il buon corvo dice: "Io non piango sulla fine delle
mie idee, perché verrà di sicuro qualcun altro a prendere in mano la mia
bandiera e portarla avanti! È su me stesso che piango...").
Ho scritto la sceneggiatura
tenendo presente un corvo marxista, ma non del tutto ancora liberato dal corvo
anarchico, indipendente, dolce e veritiero. A questo punto, il corvo è
diventato autobiografico, una specie di metafora irregolare
dell'autore. Totò e Ninetto rappresentano invece gli italiani innocenti che
sono intorno a noi, che non sono coinvolti nella storia, che stanno acquisendo
il primo jota di coscienza: questo quando incontrano il marxismo nelle
sembianze del corvo” (cfr. Pier Paolo
Pasolini, Capolavori italiani, L'Arca società editrice de
"l'Unità", maggio 1995).
Ad accompagnare quel clima da fine della storia,
da scadimento dei mandati che è abbastanza analogo a quello che stiamo vivendo
in questi anni, mentre, a dispetto delle amitiés
socialistes degli ultimi giorni, la verità che viene dai libri si mescola
con il tono saccente ma anche, per dirla ancora con Pasolini, con il gusto dell’indipendenza
e dell’anarchia. Tutte doti che mi pare abbiate, sia tu che Luciano, in buona
dose, assieme al coraggio di andare contro corrente (almeno nel mondo dell’accademia),
di tentare esperienze nuove, che rovescino il tradizionale ruolo del disegno
che nasce dopo, o più raramente prima, del testo, assai raramente in
contemporanea, a generare un lavoro che è… una sonata ‘ideo-nera’ per due pianoforti, o una graphic sonata ‘ideo-comica’[1]
per pianoforte a quattro mani.
.
Quanto allo storico del cinema Edoardo
Bruno, che citavo, eccoti quanto ha avuto occasione di scrivere
sull’opera-apologo pasoliniana:
La costruzione di un’opera-apologo come Uccellacci
uccellini porta alle estreme conseguenze la necessità dì quella chiarezza
espressiva per cui i simboli debbono raggiungere, anche nella loro ipotesi di
ambiguità, una dimensione – oggettiva o soggettiva – sempre significante. La
forma prescelta porta avanti il discorso della tendenziale popolarità per cui
l’opera filmica deve avere suggerito riflessioni, mediazioni, contenuti
intellegibili. È una estensione dell’opera-saggio, del film cioè che al
di fuori dagli schermi narrativi (o prevalentemente narrativi) propone piccole
o grandi moralità, definisce lo sgomento di una generazione, annota, come nelle
pagine diaristiche, quanto giorno dopo giorno si addensa nella nostra esperienza
di uomini vivi, impiegati a cercare una dimensione razionale (anche
istintivamente razionale), nei riordinare i fatti di cui siamo, in un modo o in
un altro, testimoni.
A proposito dell’ucronia (praticata dai narratori moderni e non solo: mi
limiterò a fare tra i nomi più suggestivi di oggi quello di Tabucchi)) citerei
invece soltanto, dal vostro testo:
[…] potremmo quasi insinuare che sia Scipione l’Africano a
produrre Spartaco nella storia e promuovere in anticipo il mito annibalico
il destino,
corvo o alouette che si sia, in
quanto detentori di parola e/o scrittura, è quello di…. essere plumés…
Alouette,
gentille Alouette
Alouette,
je te plumerai.
Je
te plumerai la tête,
Je
te plumerai la tête.
Et
la tête,
Et la tête,
Alouette
Alouette
Alouette, gentille Alouette
Alouette
Alouette, gentille Alouette
Alouette, je te plumerai.
Je te plumerai le bec,
Je te plumerai le bec.
Et le bec,
Et la tête,
Alouette
Alouette
Alouette, gentille Alouette
Alouette
Alouette, gentille Alouette
Alouette, je te plumerai.
Je te plumerai le cou,
Je te plumerai le cou.
Et le cou,
Et le bec,
Et la tête,
Alouette
Alouette
Alouette, genitlle Alouette
Alouette
Alouette, genitlle Alouette
Alouette, je te plumerai.
Je te plumerai le dos,
Je te plumerai le dos.
Et le dos,
Et le cou,
Et le bec,
Et la tête,
Alouette
Alouette, gentille Alouette
Alouette, gentille Alouette
Alouette, je te plumerai.
Je te plumerai les ailes,
Je te plumerai les ailes.
Et les ailes,
Et le dos,
Et le cou,
Et le bec,
Et la tête,
Alouette
Alouette
Alouette, gentille Alouette
Alouette
Alouette, gentille Alouette
Alouette, je te plumerai.
Je le plumerai la queue,
Je te plumerai la queue.
Et la queue,
Et les ailes,
Et le dos,
Et le cou,
Et le bec,
Et la tête,
Alouette
Alouette
Alouette, gentille Alouette
Alouette
Alouette, gentille Alouette
Alouette, je te plumerai.
Je te plumerai les jambes,
Je te plumerai les jambes.
Et les jambes,
Et la queue,
Et les ailes,
Et le dos,
Et le cou,
Et le bec,
Et la tête,
Alouette
Alouette
Alouette, gentille Alouette
Alouette, je te plumerai.
Je te plumerai les pieds,
Je te plumerai les pieds.
Et les pieds,
Et les jambes,
Et la queue,
Et les ailes,
Et le dos,
Et le cou,
Et le bec,
Et la tête
Alouette
Alouette…………
Alouette…………
[1] Pasolini
definì il suo film “ideocomico, ovvero “troppo “ideo” […] e non abbastanza
comico” (P. P. Pasolini, Uccellacci e
uccellini, in Saggi sulla politica e
la società, Milano, Modadori, “I meridiani”, 1999, p. 1346).
mercoledì 9 maggio 2012
L'elmo e la rivolta - Spring Tour - Padova
Università di Padova - Cinema Excelsior
Prima tappa del tour di presentazione del saggio a fumetti made in CurreriPalumboComma22.
Qui di seguito alcune delle immagini disegnate durante la situazione...
Prima tappa del tour di presentazione del saggio a fumetti made in CurreriPalumboComma22.
Qui di seguito alcune delle immagini disegnate durante la situazione...
mercoledì 14 marzo 2012
L'elmo e la rivolta per Vittorio Frigerio
Palumbo, Giuseppe e Luciano Curreri. L’elmo e la rivolta. Bologna : Comma 22, 2011.
Forse è una coincidenza. Forse fa parte di quell’“aria del tempo” indefinibile che vuole che ogni tanto, anche a notevoli distanze e senza rapporti particolari, vi siano fenomeni simili che si sviluppino e paiano indicare nuovi movimenti, nuove direzioni possibili anche in campi apparentemente ossificati, fissi nelle loro forme tradizionali più consacrate, che nessuno s’aspetterebbe di veder cambiare e trasformarsi neppure in cent’anni di tempo. Uno di questi campi, e forse tra i più regolamentati, è quello dei saggi, che siano di motivo letterario o più largamente culturale. La forma dell’“article savant”, del “refereed article” – arma essenziale nell’arsenale del ricercatore universitario, obbligato dall’istituzione a saltare un numero prefisso d’ostacoli nel percorso che conduce alla sicurezza d’un posto stabile – è venuta così a formarsi non solo in quanto più conveniente per l’espressione concisa e chiara di un sapere, ma anche in quanto misura, forma di un adattamento mentale riconoscibile e identificabile, garanzia di adesione a criteri che oltrepassano in fondo spesso quelli della scientificità per assumere valori più simbolici che fattuali.
È interessante per conseguenza vedere come da qualche tempo a questa parte appaiano indipendentemente sulle due sponde dell’oceano Atlantico dei tentativi di creare nuovi ibridi, nuovi modi d’espressione che permettano di concepire forme diverse per l’attività critica, non più distinta e distante dalla creazione ma a lei connessa in un rapporto nuovo, talvolta ambiguo, certamente ancora in molti modi da definire e da valutare, ma decisamente innovativo e provocante.
In Canada si assiste da qualche tempo allo sviluppo di un cosiddetto “lyrisme savant”, concepito come sforzo di integrare l’analisi con elementi che di solito essa si limita a studiare, tali il ritmo, la rima, la metafora ed altre specificità dell’espressione poetica. Questo tentativo di annullare le frontiere tra discipline tradizionalmente considerate in maniera gerarchica (l’analisi sovrapposta in posizione dominante sull’oggetto studiato, sottoposto ad essa) ha dato come risultato, in particolare nel campo degli studi filosofici, degli “oggetti scritti non identificati” che a prima vista si potrebbero confondere con dei poemi ma che si appoggiano su un apparato critico e un lavoro di ricerca e di pensiero originale identico a quelli che sottintendono gli articoli critici più tradizionali. Solamente, lo scopo diventa non solo di trasmettere un concetto, ma di dargli corpo.
Al contempo, gli organismi culturali canadesi, e più largamente nordamericani, hanno cominciato a riservare sempre più spazio nei loro programmi di sostegno a forme miste di “recherche-création” che congiungono nei modi spesso più insospettati architettura e teatro, poesia e informatica, fotografia e danza, cinema e ritrattistica...
In molti modi, questo saggio per immagini di Curreri e Palumbo cerca di proporre un ibrido non dissimile da alcune di queste sperimentazioni. Il “corpo” del concetto, questa volta, è ancora più immediatamente evidente e percepibile in quanto gli autori scelgono di presentare un saggio a fumetti, che dei fumetti adotta non solo delle riconoscibili particolarità grafiche, ma anche un umorismo simpatico (ispirato a Pasolini) efficacemente usato come contrappunto rispetto all’analisi classica. Si potrà obiettare che lo sposalizio tra il fumetto popolare e forme più eccelse di espressione non data da ieri, ma perlomeno, a voler essere generosi, dal Poema a fumetti di Buzzati nel 1969. Nell’ambito della “graphic novel” americana (tentativo molto più commerciale di quanto si dica di dare delle lettres de noblesse ai comics), tra Eisner, Feiffer ed altri vi sono stati esperimenti che si allontanavano sufficientemente dalla concezione abituale della storia per immagini da lasciare perlomeno capire al lettore non troppo superficiale di trovarsi di fronte a qualcosa che superava i limiti abituali del genere di (apparente) appartenenza. E poi Mc Cloud ha fatto la teoria dei comics in forma di comics, ma questo si può considerare ancora come una versione giustificabile di metafumetto, pur sempre limitato al campo suo. L’elmo e la rivolta riesce invece a situarsi in una zona nuova, differente da ciò a cui ci si potrebbe aspettare nel suo volere apertamente sorpassare i limiti del saggio come quelli del fumetto per cercare di dare nascita a un’entità fatta di elementi eterogenei ma non discordanti. In ciò è effettivamente, idealmente vicino alle forme di “lyrisme savant” sperimentate in altri ambiti. Mettendo a confronto Scipione l’africano e Spartaco, resuscitati e fatti convivere in uno spazio grafico a forti contrasti, fatto di larghe pennellate evocatrici e di tratti dinamici, il saggio naviga tra stato e rivoluzione, tra potere e insurrezione, ripercorrendo le rappresentazioni dei personaggi attraverso i secoli dalla letteratura più nobile a quella più popolare, per finire con il cinema. Sono convocati in ordine sparso Rosa Luxembourg, Annibale, Leon Uris, Kirk Douglas, Crasso, Liddel Hart, Manzoni, Howard Fast e Karl Marx (tra moltri altri), attorno ad un’improbabile partita a pallone e sotto l’egida di un corvaccio portaparola dell’autore, più vicino a Pasolini che a Hitchcock. Una “Postilla bibliografica” divisa per capitoli offre le referenze necessarie a chi vorrebbe prendersi la briga d’andare a scavare di più nel soggetto, oltre a qualche commento e riflessione che avrebbero troppo appesantito o rallentato il fumetto, e garantisce la serietà dell’impresa per il lettore dubbioso che avrebbe tendenza a squalificare il tentativo d’emblée.
L’elmo e la rivolta è un bell’oggetto, il che non gli fa torto. Di formato quel tanto che basta superiore algli albi Bonelli per evitare ogni confusione, stampato su buona carta, con una bella copertina dove i talenti grafici di Palumbo risaltano appieno. L’equilibrio interno tra testo e illustrazione, come tra finzione e analisi, funziona generalmente bene anche se verso la fine, in una mezza dozzina di tavole, la parola e il disegno paiono volersi spartire la pagina invece d’adoperarla insieme e si ha l’impressione che Curreri, vedendo lo spazio disponibile volgere alla fine – e cosciente di tutto quel che ci sarebbe ancora da dire – voglia fare proprio l’impossibile per dirlo tutto. Ma queste sono bazzecole di fronte a un tentativo che è chiaramente un successo e che merita d’essere riconosciuto come tale. Ora la domanda da porsi è ovviamente: “E poi?” A provare a darle una risposta, auguriamoci che ci pensino gli autori loro stessi in qualche eventuale nuova collaborazione futura.
Vittorio Frigerio
Un grazie a Vittorio per avermi/ci concesso l'anteprima; questo illuminante pezzo uscirà su Belphégor Vol. 11, no. 1 (2012)
I disegni a corredo sono stati disegnati a Louvain La Nevue il 2 marzo nell'ambito del seminario interaccademico "Dall'Unità al secondo dopoguerra - percorsi analitici: testualità, semiotica, cultura"
Forse è una coincidenza. Forse fa parte di quell’“aria del tempo” indefinibile che vuole che ogni tanto, anche a notevoli distanze e senza rapporti particolari, vi siano fenomeni simili che si sviluppino e paiano indicare nuovi movimenti, nuove direzioni possibili anche in campi apparentemente ossificati, fissi nelle loro forme tradizionali più consacrate, che nessuno s’aspetterebbe di veder cambiare e trasformarsi neppure in cent’anni di tempo. Uno di questi campi, e forse tra i più regolamentati, è quello dei saggi, che siano di motivo letterario o più largamente culturale. La forma dell’“article savant”, del “refereed article” – arma essenziale nell’arsenale del ricercatore universitario, obbligato dall’istituzione a saltare un numero prefisso d’ostacoli nel percorso che conduce alla sicurezza d’un posto stabile – è venuta così a formarsi non solo in quanto più conveniente per l’espressione concisa e chiara di un sapere, ma anche in quanto misura, forma di un adattamento mentale riconoscibile e identificabile, garanzia di adesione a criteri che oltrepassano in fondo spesso quelli della scientificità per assumere valori più simbolici che fattuali.
È interessante per conseguenza vedere come da qualche tempo a questa parte appaiano indipendentemente sulle due sponde dell’oceano Atlantico dei tentativi di creare nuovi ibridi, nuovi modi d’espressione che permettano di concepire forme diverse per l’attività critica, non più distinta e distante dalla creazione ma a lei connessa in un rapporto nuovo, talvolta ambiguo, certamente ancora in molti modi da definire e da valutare, ma decisamente innovativo e provocante.
In Canada si assiste da qualche tempo allo sviluppo di un cosiddetto “lyrisme savant”, concepito come sforzo di integrare l’analisi con elementi che di solito essa si limita a studiare, tali il ritmo, la rima, la metafora ed altre specificità dell’espressione poetica. Questo tentativo di annullare le frontiere tra discipline tradizionalmente considerate in maniera gerarchica (l’analisi sovrapposta in posizione dominante sull’oggetto studiato, sottoposto ad essa) ha dato come risultato, in particolare nel campo degli studi filosofici, degli “oggetti scritti non identificati” che a prima vista si potrebbero confondere con dei poemi ma che si appoggiano su un apparato critico e un lavoro di ricerca e di pensiero originale identico a quelli che sottintendono gli articoli critici più tradizionali. Solamente, lo scopo diventa non solo di trasmettere un concetto, ma di dargli corpo.
Al contempo, gli organismi culturali canadesi, e più largamente nordamericani, hanno cominciato a riservare sempre più spazio nei loro programmi di sostegno a forme miste di “recherche-création” che congiungono nei modi spesso più insospettati architettura e teatro, poesia e informatica, fotografia e danza, cinema e ritrattistica...
In molti modi, questo saggio per immagini di Curreri e Palumbo cerca di proporre un ibrido non dissimile da alcune di queste sperimentazioni. Il “corpo” del concetto, questa volta, è ancora più immediatamente evidente e percepibile in quanto gli autori scelgono di presentare un saggio a fumetti, che dei fumetti adotta non solo delle riconoscibili particolarità grafiche, ma anche un umorismo simpatico (ispirato a Pasolini) efficacemente usato come contrappunto rispetto all’analisi classica. Si potrà obiettare che lo sposalizio tra il fumetto popolare e forme più eccelse di espressione non data da ieri, ma perlomeno, a voler essere generosi, dal Poema a fumetti di Buzzati nel 1969. Nell’ambito della “graphic novel” americana (tentativo molto più commerciale di quanto si dica di dare delle lettres de noblesse ai comics), tra Eisner, Feiffer ed altri vi sono stati esperimenti che si allontanavano sufficientemente dalla concezione abituale della storia per immagini da lasciare perlomeno capire al lettore non troppo superficiale di trovarsi di fronte a qualcosa che superava i limiti abituali del genere di (apparente) appartenenza. E poi Mc Cloud ha fatto la teoria dei comics in forma di comics, ma questo si può considerare ancora come una versione giustificabile di metafumetto, pur sempre limitato al campo suo. L’elmo e la rivolta riesce invece a situarsi in una zona nuova, differente da ciò a cui ci si potrebbe aspettare nel suo volere apertamente sorpassare i limiti del saggio come quelli del fumetto per cercare di dare nascita a un’entità fatta di elementi eterogenei ma non discordanti. In ciò è effettivamente, idealmente vicino alle forme di “lyrisme savant” sperimentate in altri ambiti. Mettendo a confronto Scipione l’africano e Spartaco, resuscitati e fatti convivere in uno spazio grafico a forti contrasti, fatto di larghe pennellate evocatrici e di tratti dinamici, il saggio naviga tra stato e rivoluzione, tra potere e insurrezione, ripercorrendo le rappresentazioni dei personaggi attraverso i secoli dalla letteratura più nobile a quella più popolare, per finire con il cinema. Sono convocati in ordine sparso Rosa Luxembourg, Annibale, Leon Uris, Kirk Douglas, Crasso, Liddel Hart, Manzoni, Howard Fast e Karl Marx (tra moltri altri), attorno ad un’improbabile partita a pallone e sotto l’egida di un corvaccio portaparola dell’autore, più vicino a Pasolini che a Hitchcock. Una “Postilla bibliografica” divisa per capitoli offre le referenze necessarie a chi vorrebbe prendersi la briga d’andare a scavare di più nel soggetto, oltre a qualche commento e riflessione che avrebbero troppo appesantito o rallentato il fumetto, e garantisce la serietà dell’impresa per il lettore dubbioso che avrebbe tendenza a squalificare il tentativo d’emblée.
L’elmo e la rivolta è un bell’oggetto, il che non gli fa torto. Di formato quel tanto che basta superiore algli albi Bonelli per evitare ogni confusione, stampato su buona carta, con una bella copertina dove i talenti grafici di Palumbo risaltano appieno. L’equilibrio interno tra testo e illustrazione, come tra finzione e analisi, funziona generalmente bene anche se verso la fine, in una mezza dozzina di tavole, la parola e il disegno paiono volersi spartire la pagina invece d’adoperarla insieme e si ha l’impressione che Curreri, vedendo lo spazio disponibile volgere alla fine – e cosciente di tutto quel che ci sarebbe ancora da dire – voglia fare proprio l’impossibile per dirlo tutto. Ma queste sono bazzecole di fronte a un tentativo che è chiaramente un successo e che merita d’essere riconosciuto come tale. Ora la domanda da porsi è ovviamente: “E poi?” A provare a darle una risposta, auguriamoci che ci pensino gli autori loro stessi in qualche eventuale nuova collaborazione futura.
Vittorio Frigerio
Un grazie a Vittorio per avermi/ci concesso l'anteprima; questo illuminante pezzo uscirà su Belphégor Vol. 11, no. 1 (2012)
I disegni a corredo sono stati disegnati a Louvain La Nevue il 2 marzo nell'ambito del seminario interaccademico "Dall'Unità al secondo dopoguerra - percorsi analitici: testualità, semiotica, cultura"
lunedì 5 marzo 2012
L'elmo e la rivolta - un saggio a fumetti di Luciano Curreri e Giuseppe Palumbo
L’elmo e la rivolta (edito da Comma 22)
Un graphic essay nostrano, un saggio-fumetto, un primo, vero saggio di
storia della cultura, con Postilla bibliografica ragionata, discorsiva,
messo in immagini, ovvero raccontato, con tanto di cornice narrativa
derivata dal buon Pasolini e con la forza dei disegni di Peppe Palumbo e
delle ricerche e delle parole di Lucio Curreri.
Curreri e Palumbo si cimentano nell’inedita operazione del saggio a fumetti e scoprono che Scipione, il grande generale che sconfisse Cartagine, e Spartaco, l’oscuro leader della rivolta degli schiavi, sono all’origine di due miti che trascendono di gran lunga le scarse informazioni di cui disponiamo su di loro; due miti che la modernità ha accolto, elaborato e digerito, opponendoli di frequente l’uno all’altro.
Il bisogno di usare la storia per rinsaldare l’identità nazionale conduce più facilmente alla celebrazione degli Scipioni e dei Cesari che non a quella delle loro vittime; del resto, da qualche tempo le note dell’inno di Mameli risuonano nel nostro orizzonte più spesso di quanto non accadesse in passato, e con loro, per l’appunto, ritorna l’elmo di Scipio.*
Dopo Liegi, Lucca, Bruxelles e Potenza, il tour di presentazioni ci ha riportati alla Fiera del Libro di Bruxelles e a Louvain-LaNueve... Stay tuned.
*
per una anteprima del libro...
Curreri e Palumbo si cimentano nell’inedita operazione del saggio a fumetti e scoprono che Scipione, il grande generale che sconfisse Cartagine, e Spartaco, l’oscuro leader della rivolta degli schiavi, sono all’origine di due miti che trascendono di gran lunga le scarse informazioni di cui disponiamo su di loro; due miti che la modernità ha accolto, elaborato e digerito, opponendoli di frequente l’uno all’altro.
Il bisogno di usare la storia per rinsaldare l’identità nazionale conduce più facilmente alla celebrazione degli Scipioni e dei Cesari che non a quella delle loro vittime; del resto, da qualche tempo le note dell’inno di Mameli risuonano nel nostro orizzonte più spesso di quanto non accadesse in passato, e con loro, per l’appunto, ritorna l’elmo di Scipio.*
Dopo Liegi, Lucca, Bruxelles e Potenza, il tour di presentazioni ci ha riportati alla Fiera del Libro di Bruxelles e a Louvain-LaNueve... Stay tuned.
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per una anteprima del libro...
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