venerdì 25 maggio 2012

L'elmo e la rivolta secondo Riccardo Donati - Firenze Spring Tour 2012



A seguito dell'incontro a Le Murate di Firenze, Riccardo Donati, che gli autori sentitamente ringraziano, ci propone altri spunti di riflessione (le immagini sono state realizzate invece durante l'incontro di Castelfranco Emilia, condotto da Luca Cesari e con un bell'intervento dell'assessore alla cultura, Carlo Alberto Bertelli):



Oltre la divulgazione di quello che è. L'elmo e la rivolta

In un articolo del 1969 – lo stesso anno in cui Mondadori accettava la scommessa non facile, e forse oggi impensabile, di dare alle stampe il Poema a fumetti firmato Dino Buzzati – Cesare Zavattini scriveva che

[...] i fumetti non vanno bloccati in una definizione e in un costume che diventano repressivi ma colti, fruiti, in quello che di moderno propongono, intendendo per moderni la costante del mutamento e il mutamento quale coincidenza con le più massicce richieste sociali, che sono sempre all'avanguardia. Sarebbe inutile e infido limitare la dinamica del fumetto alla divulgazione di quello che c'è. Chi si assumesse il compito di affrontare coi fumetti Dante o Hegel o lo strutturalismo o la rivoluzione francese dovrebbe preferirli in quanto gli sono insufficienti i linguaggi tradizionali. Dovrebbe cioè essere una scelta, un'invenzione e una traduzione in un codice diverso della medesima sostanza. Operazioni impacifiche, caratterizzate da una carica riflessiva, analitica per la quale all'esposizione cosiddetta orizzontale, sia della Divina Commedia o delle Lettere dal carcere viene di continuo sostituita l'interruzione, il commento, la verifica tra ogni affermazione assoluta e la vita corrente, il confronto inesorabile tra passato e presente, tra individuo e comunità.

Se la ricostruzione di un dato frangente storico attraverso la forma del graphic novel è già stata tentata da tempo e con notevole successo (basti pensare al Maus di Spiegelman, e all'interesse che l'opera ha suscitato in uno storico di primo piano come Hayden White), la novità rappresentata da L'elmo e la rivolta consiste nel presentarsi come primo graphic essay della storia del fumetto (perlomeno di quello italico: altra cosa sono, in effetti, opere come la pur meritoria Storia d'Italia a fumetti di Enzo Biagi, pregevole e intelligente testo di divulgazione privo tuttavia di spessore analitico). Assumendo il non facile compito di dar forma al frammentato pulviscolo di suggestioni, credenze e miti sorti intorno alle figure di Scipione e Spartaco nel corso dell'Otto e Novecento, Luciano Curreri e Giuseppe Palumbo optano dunque per il linguaggio dei fumetti, spinti a questo passo da ragioni non dissimili rispetto a quelle enunciate da Zavattini nell'articolo sopra citato (dove appunto viene prefigurato, più che il graphic novel, l'avvento di un graphic essay del tipo di cui stiamo discutendo). L'esigenza che li anima è infatti quella di superare i limiti dei linguaggi tradizionali, i quali, marcati stretti da secolari convenzioni e costrizioni, anche formali, difficilmente permettono di dribblare le metafore calcistiche sono giustificate dal testo quella che Zavattini chiama  l'"esposizione orizzontale" della materia trattata. La forza di questo connubio risiede allora nella scelta di integrare due tipologie di scrittura solitamente distanti, per non dire antipodiche (quella saggistica; quella grafica), al fine di innestare la "medesima sostanza" (l'analisi storiografica, sociologica, mitografica, culturologica ecc.) sul tronco di una nuova forma espressiva, operando un felice connubio tra sterminata erudizione (sia pure un'erudizione divertita, che non sa e non vuole prendersi troppo sul serio) e attenzione ai dati più immediati dell'immaginario contemporaneo. Che studiare la storia significhi giungere a un «confronto inesorabile tra passato e presente, tra individuo e comunità», lo insegna in modo magistrale, per non citare che un esempio celebre, Luciano Canfora quando nei suoi libri mette a confronto la democrazia ateniese con quella statunitense. Ma questo confronto sarà tanto più produttivo ed efficace (ossia in grado di far spazio, sulla pagina, a quel bisogno di “sovrabbondanza umana” che è il ribaltamento esatto del concetto di surplus capitalistico, come insegna il Bloch di Il principio speranza) quanto più saprà intercettare le possibilità espressive offerte da codici largamente condivisi ("popolari", si sarebbe detto un tempo). Per riprendere, adeguandola all'occasione, una formula proposta da uno dei pochi (ahinoi) padri nobili del nostro fumetto, Oreste Del Buono, L'elmo e la rivolta rappresenta un riuscito esperimento di «figurazione saggistica» proprio nella misura in cui il continuo scambio e gioco di rilanci tra testo e immagine, fino al dosato armonizzarsi delle due dimensioni (a formare un unicum scandito, ritmato, "sequenziale", per dirla con Will Eisner), garantisce all'opera una duplice profondità, euristica ed artistica. Una duplice profondità cui, innegabilmente, la forma-saggio e la forma-fumetto singolarmente considerate non sarebbero in grado di attingere. Ciò che Zavattini intuisce, in definitiva, non è poi così distante da quanto già Benjamin aveva ampiamente compreso, ovvero che nella modernità la forma-saggio non può più andar disgiunta dalle altre forme produttrici di senso e di immaginario della contemporaneità. L'invenzione del graphic essay rappresenta in questo senso una non trascurabile opportunità, per il pensiero e la conoscenza, di restare vitali, andando oltre i battuti sentieri della mera catena verbo-concettuale ("oltre", si badi, non "contro", perché superare un codice significa essersene già nutriti, averlo già assimilato: proprio come fanno Ninetto e Totò in Uccellacci e uccellini... e qui Spartaco e Scipione, col Corvo della conoscenza). L'elmo e la rivolta, "operazione impacifica" (di guerra e di morti si parla, infatti), forse anche imperfetta (nella misura in cui rappresenta il primo prodotto uscito da un'officina che promette ulteriori sviluppi), oltre al merito dell'originalità, ci sembra dunque avere anche il pregio di soddisfare una richiesta di sapere (e una sete di paradigmi identificativo-identitari) che forse non sarà "massiccia" quanto Zavattini nel dopo Sessantotto poteva figurarsi, ma che sicuramente è meno minoritaria di quanto una vulgata troppo suggestionata dal preponderante credo edonistico-qualunquista vorrebbe farci credere.

Riccardo Donati

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