domenica 20 maggio 2012

L'elmo e la rivolta secondo Anna Dolfi - Firenze Spring Tour 2012


A seguito dell'incontro a Le Murate di Firenze, ecco uno scritto illuminante di Anna Dolfi, che gli autori sentitamente ringraziano:
Caro Giuseppe, mi chiedevi di annotarti la citazione da Pasolini.
Lo faccio volentieri, ma seguendo per un attimo ancora il filo del mio discorso. Che mirava a vedere come si può, in un caso come quello del vostro libro, accostare un’arte per definizione comunicativa come quella del fumetto (direi più volentieri nel tuo caso del graphic) con un testo complesso e articolato (un vero e proprio saggio, dal quale si può imparare tanto anche in termini di conoscenza storica) come quello di Luciano. Ora mi pare che la trovata del corvo (non solo portatore di un never more alla Poe, latore di un immaginario inquietante) collegata a Uccellacci uccellini di Pasolini arrivi a giustificare e a rendere plausibilissimo (nel senso più complesso del termine) il tutto. Insomma se eccede in ‘sapienza’, erudizione, dottrina, il corvo non fa che il suo mestiere (così come lo aveva fatto il grillo parlante di un altro autore caro a Luciano: Collodi), sia in positivo che in negativo. Insomma il corvo da un lato dice quanto è vero ma che è difficilmente digeribile (anche per colpa del suo tono saccente),  dall’altro si prepara proprio per questo l’inevitabile fine, aprendo così la strada all’auto-ironia della contro-voce occultata dietro le sue massime. Soprattutto giustifica il divario tra i ruoli (il fumetto/il saggio) facendone un altro dei tanti (diacronici) racconti interni che si intrecciano nella vostra storia.
Se poi l’epilogo sia risolutivo (su modello quasi cristologico, nel caso di Pasolini come nel vostro, come sembrava suggerire Riccardo Donati nell’incontro di ieri sera) onestamente non so; visto che con coscienza antihegeliana preferisco lasciare aperta la contraddizione, prendendo atto che – in natura, si potrebbe dire, almeno a tutt’oggi - ci sono discorsi inconciliabili (per intenderci velocemente: quello di Totò, Ninetto da un lato; quello del corvo dall’altro) e che ognuno non può che recitare una parte (già che è l’unica che è in grado di assumere), finendo per apparire perfino incurante dell’inevitabile fine. Insomma, anche se sa che è destinato ad avere poco ascolto, e che lo faranno probabilmente tacere (“alouette, gentille alouette, alouette je te plumerai”), l’intellettuale continua a parlare; mentre gli altri, che lo guardano con diffidenza, continueranno probabilmente ad alternarsi nei ruoli dei micro-scipione, dei micro-spartaco, ignari talvolta perfino della portata  della loro azione.
Insomma a mio parere il corvo che faceva di Uccellacci e uccellini un film-saggio, è quanto  fa, a livello ‘teorico’,  del vostro esperimento un graphic essay.
Nel caso di Pasolini  poi la consapevolezza dell’autore era completa, se aveva avuto occasione di parlare di quel suo film così “disarmato, fragile e delicato” puntando tutto sulla novità della formula (“che è quella della favola col suo senso nascosto”) che sostanziava anche il “surrealismo delle favole” che gli pareva la natura più vera del film:
“L'atroce amarezza dell'ideologia sottostante al film (la fine di un periodo della nostra storia, lo scadimento di un mandato) ha finito forse col prevalere. Mai ho scelto per tema di un film un soggetto così difficile: la crisi del marxismo della Resistenza e degli anni Cinquanta, poeticamente situata prima della morte di Togliatti, subita e vissuta, dall'interno, da un marxista, che non è tuttavia disposto a credere che il marxismo sia finito (il buon corvo dice: "Io non piango sulla fine delle mie idee, perché verrà di sicuro qualcun altro a prendere in mano la mia bandiera e portarla avanti! È su me stesso che piango..."). 
Ho scritto la sceneggiatura tenendo presente un corvo marxista, ma non del tutto ancora liberato dal corvo anarchico, indipendente, dolce e veritiero. A questo punto, il corvo è diventato autobiografico, una specie di metafora irregolare dell'autore. Totò e Ninetto rappresentano invece gli italiani innocenti che sono intorno a noi, che non sono coinvolti nella storia, che stanno acquisendo il primo jota di coscienza: questo quando incontrano il marxismo nelle sembianze del corvo” (cfr. Pier Paolo Pasolini, Capolavori italiani, L'Arca società editrice de "l'Unità", maggio 1995).
Ad accompagnare quel clima da fine della storia, da scadimento dei mandati che è abbastanza analogo a quello che stiamo vivendo in questi anni, mentre, a dispetto delle amitiés socialistes degli ultimi giorni, la verità che viene dai libri si mescola con il tono saccente ma anche, per dirla ancora con Pasolini, con il gusto dell’indipendenza e dell’anarchia. Tutte doti che mi pare abbiate, sia tu che Luciano, in buona dose, assieme al coraggio di andare contro corrente (almeno nel mondo dell’accademia), di tentare esperienze nuove, che rovescino il tradizionale ruolo del disegno che nasce dopo, o più raramente prima, del testo, assai raramente in contemporanea, a generare un lavoro che è…  una sonata ‘ideo-nera’ per due pianoforti, o una graphic sonata ‘ideo-comica’[1] per pianoforte a quattro mani.
.
Quanto allo storico del cinema Edoardo Bruno, che citavo, eccoti quanto ha avuto occasione di scrivere sull’opera-apologo pasoliniana:
La costruzione di un’opera-apologo come Uccellacci uccellini porta alle estreme conseguenze la necessità dì quella chiarezza espressiva per cui i simboli debbono raggiungere, anche nella loro ipotesi di ambiguità, una dimensione – oggettiva o soggettiva – sempre significante. La forma prescelta porta avanti il discorso della tendenziale popolarità per cui l’opera filmica deve avere suggerito riflessioni, mediazioni, contenuti intellegibili. È una estensione dell’opera-saggio, del film cioè che al di fuori dagli schermi narrativi (o prevalentemente narrativi) propone piccole o grandi moralità, definisce lo sgomento di una generazione, annota, come nelle pagine diaristiche, quanto giorno dopo giorno si addensa nella nostra esperienza di uomini vivi, impiegati a cercare una dimensione razionale (anche istintivamente razionale), nei riordinare i fatti di cui siamo, in un modo o in un altro, testimoni. 
A proposito dell’ucronia (praticata dai narratori moderni e non solo: mi limiterò a fare tra i nomi più suggestivi di oggi quello di Tabucchi)) citerei invece soltanto, dal vostro testo:
 […] potremmo quasi insinuare che sia Scipione l’Africano a produrre Spartaco nella storia e promuovere in anticipo il mito annibalico
Un caro saluto, e grazie (a ambedue) per la bravura, mentre       
il destino, corvo o alouette che si sia, in quanto detentori di parola e/o scrittura, è quello di…. essere plumés…

Anna    




Alouette, gentille Alouette
Alouette, je te plumerai.
Je te plumerai la tête,
Je te plumerai la tête.
Et la tête,
Et la tête,
Alouette
Alouette
Alouette, gentille Alouette
Alouette, je te plumerai.

Je te plumerai le bec,
Je te plumerai le bec.
Et le bec,
Et la tête,
Alouette
Alouette
Alouette, gentille Alouette
Alouette, je te plumerai.

Je te plumerai le cou,
Je te plumerai le cou.
Et le cou,
Et le bec,
Et la tête,
Alouette
Alouette
Alouette, genitlle Alouette
Alouette, je te plumerai.

Je te plumerai le dos,
Je te plumerai le dos.
Et le dos,
Et le cou,
Et le bec,
Et la tête,
Alouette
Alouette, gentille Alouette
Alouette, je te plumerai.

Je te plumerai les ailes,
Je te plumerai les ailes.
Et les ailes,
Et le dos,
Et le cou,
Et le bec,
Et la tête,
Alouette
Alouette
Alouette, gentille Alouette
Alouette, je te plumerai.

Je le plumerai la queue,
Je te plumerai la queue.
Et la queue,
Et les ailes,
Et le dos,
Et le cou,
Et le bec,
Et la tête,
Alouette
Alouette
Alouette, gentille Alouette
Alouette, je te plumerai.

Je te plumerai les jambes,
Je te plumerai les jambes.
Et les jambes,
Et la queue,
Et les ailes,
Et le dos,
Et le cou,
Et le bec,
Et la tête,

Alouette
Alouette
Alouette, gentille Alouette
Alouette, je te plumerai.

Je te plumerai les pieds,
Je te plumerai les pieds.
Et les pieds,
Et les jambes,
Et la queue,
Et les ailes,
Et le dos,
Et le cou,
Et le bec,
Et la tête
Alouette
Alouette…………







[1] Pasolini definì il suo film “ideocomico, ovvero “troppo “ideo” […] e non abbastanza comico” (P. P. Pasolini, Uccellacci e uccellini, in Saggi sulla politica e la società, Milano, Modadori, “I meridiani”, 1999, p. 1346).

1 commento:

giuseppe palumbo ha detto...

Ricevo da Dennis Lotti, via CurreriMail:

"bello l’intervento di Anna Dolfi. 
Pensa che ha chiuso un cerchio rimasto senza soluzione da qualche tempo nella mia immaginazione. 
Perciò mi permetto di aggiungere una piccola postilla, che spero ti faccia piacere. 

E’ una suggestione veneto-friulana-mitteleuropea (che vibra ancora sulle corde lunghe della fine del Lombardo-veneto presagio della Secessione austro-ungarica) che ho sempre tenuto presente guardando Uccellacci e uccellini. 
Il tutto principia da un’evocazione, ovvero: il corvo del marxismo metafora di qualcosa che sta per finire, infine divorato, per associazione di immagini, mi ha fatto pensare a un altro uccello nero, saltellante, familiare: il merlo. 

Posto che in Veneto, come certo saprai, definire ‘merlo' una persona è dargli del mona in modo elegante, vorrei però dare rilievo alla canta per bambini El merlo ga perso el beco, tra le cui parole gli edotti vi leggono la metafora satirica dell’Impero austro-ungarico ritratto mentre perde i suoi pezzi. 

Tra le varie versioni, conosco questa:

El merlo ga perso el beco, e come faralo a cantar 
El merlo ga perso el beco, povero merlo mio come faralo a cantar 
El merlo ga perso i oci, e come faralo a veder 
El merlo ga perso el beco, i oci povero merlo mio come faralo a veder
El merlo ga perso e recie, e come faralo a sentir 
El merlo ga perso el beco, i oci, e recie, povero merlo mio come faralo a sentir 
El merlo ga perso e ale, e come faralo a volar 
El merlo ga perso el beco, i oci, e recie, e ale, povero merlo mio come faralo a volar 
El merlo ga perso e sate, e come faralo a raspar 
El merlo ga perso el beco, i oci, e recie, e ale, e sate, povero merlo mio come faralo a raspar 
El merlo ga perso e coa, e come faralo a coar 
El merlo ga perso el beco, i oci, e recie, e ale, e sate, a coa, povero merlo mio come faralo a coar 
El merlo ga perso el culo, e come faralo a schitar 
El merlo ga perso el beco, i oci, e recie, e ale, e sate, a coa, el culo, povero merlo mio come faralo a schitar 
El merlo xe 'ndà all'inferno, e quando ritornerà. 
Ritornerà 'st'inverno quando l'è ben scaldà.

Il Pasolini di Casarsa forse conosceva questa canzone (non ho mai controllato su Passione e ideologia) ch'è arrivata fino a me attraverso mia nonna, dunque, perché no? 
Mi mancava però il trait d’union e me l’ha regalato l’alouette."